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Un altro modo di fare banca

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Lo slogan è: “Un altro modo di fare banca“. Ormai te lo rifilano tutti nel ramo aziendale del credito, nel patetico tentativo di vantare il proprio “impegno” nel settore.

In realtà però gli italiani sanno benissimo che questo “altro modo” è terribilmente estraneo alla gestione oculata e corretta del denaro pubblico, sì perché il denaro che gira nelle casse delle banche “private” è nostro; sono i nostri soldi, i nostri risparmi, i nostri redditi mensili accantonati nei conti correnti in attesa di pagare le tasse, le bollette e i mutui.

Eppure quel denaro, che una volta veniva reinvestito principalmente prestandolo al popolo, facendolo così girare nuovamente nel sistema, oggi viene trattenuto dai banchieri e utilizzato per l’acquisto di titoli sui mercati internazionali …. un bellissimo “altro modo di NON fare banca“.
Quando i titoli si sono rivelati “tossici“, ma parliamo fortunatamente ormai al passato, certe banche hanno pure tentato di disfarsene spacciandoli per ottimi investimenti da “impolpettare” ai clienti più disponibili al rischio, ne è seguita la crisi del 2008 col fallimento della Lehman Brothers e milioni di americani ed europei col “culo per terra“.

Ma da noi, in Italia, il primo vero passo verso “l’altro modo di fare banca” è attribuibile a giuliano amato, il Nosferatu dell’economia italiana.  Amato è stato il creatore delle “fondazioni bancarie”, da lui stesse definite “mostri giuridici”, né più e né meno come farà in seguito Calderoli, inventore del “porcellum”, definendo tale la sua stessa legge elettorale.

Ebbene le fondazioni bancarie, a seguito delle privatizzazioni del settore creditizio degli anni ’90, proprio grazie ad amato controllano, con i loro clientelismi e i loro scambi di influenze, tutte le banche italiane per conto delle lobby di politici, ex-politici, ricche famiglie (magari massoniche) e di faccendieri senza scrupoli, comunque tutto un “mondo oscuro e sotterraneo” ma molto “potente”.
E i recenti scandali di Monte dei Paschi di Siena, di Banca Intesa SanPaolo e persino della stessa Banca d’Italia, con dirigenti, consiglieri e amministratori delegati impegnatissimi a “intrallazzare” e lanciarsi i coltelli dietro le spalle per scalzarsi l’uno con l’altro, ci disegnano un quadro preciso di come siano cambiate le banche nel nostro paese. e di conseguenza anche la nostra economia.

Non parliamo poi della madre di tutte le “galline dalle uova d’oro”: l’opportunità delle “banche spa” di poter liberamente incaricare società esterne con la “scusa” delle consulenze.   Prima dare denaro agli amici degli amici era più complicato e si rischiava la galera perché le banche erano “istituti di diritto pubblico“, oggi, grazie a giulianino amato, attorno a ristrettissimi “tavoli” (per non dire pochi “salotti”) le fondazioni e i vari amministratori delegati decidono a loro piacimento a chi dare le ricchissime commissioni per le consulenze esterne. E’ un business miliardario.
Si tratta di incarichi dei più disparati: si va dai cambi di sistemi informatici, alle ristrutturazioni interne (e non si capisce come un’azienda creditizia con 20/30.000 fra impiegati e manager non abbia al suo interno un gruppetto di gente capace di riorganizzare il lavoro invece di dare tanto denaro a società esterne, che strano vero?), dalla riduzione del personale alla formazione dello stesso, dallo spostamento degli uffici alla revisione dei servizi operativi ecc. ecc.
Ma fra tutti gli incarichi di consulenza il più interessante è proprio quello relativo alla “formazione“, fatta o tramite corsi da seguire soli davanti al proprio computer dell’ufficio (così la “società di consulenza”, con costi bassissimi, appronta un prodotto informatico, che può poi vendere a una decina di banche spa, cambiando magari solo il logo della presentazione), o corsi “tutorizzati” per imparare a lavorare sorridendo, o per seguire i periodici aggiornamenti della legge sulla privacy (che ormai in Italia non serve proprio a niente, perché basta una semplice firma in calce a un contratto ben “architettato” per ritrovare i dati sensibili di chiunque all’interno di un qualunque database), o magari per imparare a lavorare bene in gruppo e “fare squadra”,  in quanto si parte dal presupposto che un ultra-cinquantacinquenne “fornerizzato” (cioè trombato dalla legge fornero e quindi costretto a lavorare per altri dieci anni in mezzo a questi corsi di formazione, a trasferimenti in nuove società “partorite” dalla sua vecchia banca, a nuovi incarichi di lavoro prima sconosciuti e alla possibilità di essere mandato magari anche in cassa integrazione con il 40% dello stipendio) potrebbe in effetti essere tentato dall’idea di saltare addosso a qualche direttore o semplice collega per “riformarlo” a colpi di tastiera del pc o strangolarlo on line col cavetto di collegamento di rete.
Ecco perché “opportunamente” sono nati questi “interessantissimi” corsi di formazione per imparare a sorridere “comunque” e a lavorare in equipe senza assassinare chi ti sta accanto.
Ed ecco sempre “l’altro modo di fare banca“, perché ho dimenticato di dire che questa “fondamentale  formazione”, oltre che fornire denaro alle società di consulenza fa arrivare contributi europei anche nelle casse delle banche che si premurano a formare i propri dipendenti, anche se sessantenni e alle soglie della pensione.

Quindi hanno altro a cui pensare i management degli istituti di credito, devono continuare a lavorare nell’ “altro modo di fare banca“;  l’antico servizio di investire dando “credito” e generare “impieghi”, concedendo finanziamenti a famiglie e aziende, per i nuovi banchieri è ormai obsoleto.
In questo squallido scenario, che poi sta in realtà alla base della crisi economica, si inseriscono con estrema difficoltà i sindacati dei bancari italiani con in testa Lando Maria Sileoni (Segretario Generale della FABI, la maggiore e più prestigiosa fra le sigle sindacali) che da anni lotta contro la scadente qualità dello strapagato management creditizio nazionale e contro il luogo comune, messo in giro proprio dai banchieri incapaci e dall’ABI, che vede i lavoratori bancari costantemente in esubero e persino additati come causa principale dei bilanci in rosso delle banche, una sorta di “zavorra”.
Ora sappiamo tutti che non è così e che gli esuberi nelle banche (peraltro gestiti appositamente col contagocce per mantenere vivo il più tempo possibile il pretesto delle spese interne eccessive, pur esistendo un ammortizzatore sociale di grande potenzialità, il Fondo di Solidarietà,  utilizzato pochissimo) sono solo un alibi per poter dimostrare al “resto del mondo” che i bancari sono una pietra al piede per le aziende del credito e che le casse sono sempre semivuote a causa proprio del “costo del lavoro“.

Non fatevi prendere in giro dai banchieri… i soldi ci sono, e il denaro può ricominciare a girare per far ripartire il paese, però con “l’altro modo di fare banca” tutto resta nel giro delle lobby che comandano il sistema (corrotto) e per essere spartito fra presidenti, amministratori delegati, consiglieri, dirigenti ecc.ecc. gente strapagata ancora più della casta dei politici.

Torniamo un momento a Lando Sileoni e alla FABI: in questi giorni si sta discutendo il nuovo contratto nazionale di lavoro del sistema bancario e proprio Sileoni, ma col supporto anche di tutte le altre sigle sindacali, sta proponendo all’ABI un vero “nuovo modo di fare banca“, alternativo a quello fasullo e fraudolento tanto vantato in tv negli spot propagandistici, vedremo nei prossimi mesi se i personaggi dell’ABI avranno la dignità di accettarlo e di ridimensionare il loro ruolo di mangiasoldi, dopo tanti anni di strapotere e di cattiva gestione del denaro pubblico.

Autore dell'articolo: admin

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