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Young in, old out

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In merito al particolare momento economico e sociale che stiamo vivendo, volevo condividere con voi qualche considerazione. Assistiamo inermi, o quasi, a sconvolgimenti societari (chiusure, riorganizzazioni, incorporazioni) che lasciano l’amaro in bocca.

Sembra che chi ha un’età anagrafica più “grande” ci rimetta, spesso, “le penne”. Sembra che, in questo momento, il “lungo”, costante, duraturo passato di molti, non sia “riconosciuto”.

Non si può sottacere che numerose comprovate professionalità vengano abbondantemente trascurate, che nel giro di “qualche minuto” si siano “liquidati” anni di affidabilità e professionalità.

Abbiamo l’impressione che ci siano state scelte in base all’età. Ma non sarebbe meglio in base al merito?   Certo l’età è importante ma, a nostro avviso, non deve essere l’elemento determinante. L’esperienza, soprattutto a parità di merito, è fondamentale.

In realtà le aziende applicano in pieno la teoria denominata “Young in, old out” (giovani dentro vecchi fuori) propagandata da consulenti americani, giapponesi e coreani. Preferiscono sostituire lavoratori esperti con giovani con minore esperienza lavorativa perché meno coscienti dei loro diritti e meno preparati a sollevare dubbi e critiche di fronte alle scelte manageriali.    Meglio quindi, un giovane che non solleva obiezioni, piuttosto che un lavoratore esperto in grado anche di criticare un management che troppo spesso preferisce “campagne commerciali d’assalto” con i risultati disastrosi che pagano poi i successori, anche perché i manager “distratti vanno e vengono, cambiano azienda, realizzano “fuochi” (di paglia) di vendite e finanziamenti e il dazio lo pagano la massa dei comuni mortali che rimarranno sempre a zappare.

Chiaramente, l’azienda non tiene conto delle conseguenze psicologiche devastanti.    C’è un inevitabile e grave abbassamento del livello di autostima ma questo non … “costa” (il doppio senso è puramente voluto) a loro!

Le aziende mostrandosi così più autoritarie e più autorevoli, confermano che contano solo i risultati e non le persone (distrutte).

Non ci illudiamo: tutti, anche i prescelti, sono puri mezzi di produzione.

Le aziende, con qualche eccezione ovviamente, non si curano delle dinamiche relazionali, la loro è un’efficacia di breve periodo: a lungo andare demotiva ed esclude le risorse migliori. Comprendiamo per il datore di lavoro l’attenzione ai risultati, ma dobbiamo pretendere massima attenzione alle persone.

Autore dell'articolo: Giuseppe Angelini

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