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La magia che ha trasformato il denaro pubblico in denaro privato

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La FABI, il più importante e corposo sindacato dei lavoratori bancari italiani, ha diramato un comunicato nel quale vengono svelati gli “altarini” dei CEO (la nuova nomenclatura con la quale vengono indicati da qualche tempo gli amministratori delegati) degli istituti di credito.

Le banche, privatizzate già dalla fine del secolo scorso, gestiscono il loro denaro come meglio credono, senza alcun controllo delle istituzioni e delle banche centrali nazionali, peraltro anche loro divenute private; questo è il vero scopo finale delle privatizzazioni bancarie: favorire indiscriminatamente e senza alcuna vigilanza il denaro che una volta era “pubblico” (ai tempi cioè dei vecchi Istituti di Diritto Pubblico).

Tanta gente questo non l’ha capito e magari continua a sostenere che le privatizzazioni sono servite a “migliorare” i servizi anche dopo i catastrofici fallimenti di tante banche, i relativi salvataggi statali (occultati dietro il pretesto di limitare le perdite dei risparmiatori), gli imbrogli gestionali più o meno celati ma svelati dalla Magistratura e così via.

Il denaro che affluisce come uno tsunami nelle casse delle banche, uniche ormai a gestire l’intera economia di una Nazione, una volta nelle mani dello Stato, ne fuoriesce oltre alle solite e tradizionali uscite in bilancio, molto spesso sotto forma di “compensi per consulenze esterne“, esborsi per le continue esternalizzazioni delle attività interne, bonus e premi per la dirigenza e soprattutto per la “fantasmagorica” retribuzione dei vari CEO pro-tempore, contribuendo così “all’allattamento” delle varie lobby economico-politiche (e talvolta persino malavitose o intrallazziste) che influenzano i consigli di amministrazione e magari proprio le nomine dei CEO, infatti, “a giro” si leggono sempre gli stessi nominativi incaricati a rivestire lo stesso ruolo di amministratori delegati in società operanti nei più disparati settori di competenza (dalle poste all’aeronautica spaziale, dalle banche alle ferrovie, dalle telecomunicazioni ai servizi informatici ecc. ecc.

Ma torniamo alla FABI che ha svelato ai clienti delle banche e ai comuni mortali qualche ulteriore “magagna” rimasta ancora dietro le quinte del grande palcoscenico dove si muovono gli addetti ai lavori. 

I vanagloriosi banchieri italici (o quantomeno operanti in Italia) ultimamente si sono vantati (magari anche per giustificare i loro ricavi personali per l’attività svolta) di aver ridotto fortemente il fenomeno delle rapine agli sportelli bancari, tuttavia la FABI ha ridimensionato questa loro millanteria, infatti nel comunicato si legge:

E’ singolare che si sbandieri che si spendono circa 580 milioni di euro l’anno per la sicurezza nel settore bancario. Pensate che l’ex Amministratore Delegato di Unicredit, Mustier, nel 2020, suo ultimo anno alla guida del gruppo, ha ricevuto 900.000 euro più una parte variabile in azioni con maturità nel 2024 che oggi valgono 4,4 milioni di euro. Passando ad un altro grande gruppo, Intesa Sanpaolo, il CEO Carlo Messina ha preso l’anno scorso 5,36 milioni fra 2,6 milioni di stipendio fisso, 1,4 milioni di remunerazione variabile nel breve periodo e 1,3 milioni di variabile di lungo periodo. Vi sembrano ancora tanti 580 milioni di euro spesi per la sicurezza per l’intero settore bancario?”

Inoltre Gabriele Urzì, Segretario Provinciale FABI Palermo e Responsabile Salute e Sicurezza del Sindacato, ha spiegato che in realtà “hanno influito positivamente sulla diminuzione di alcune tipologie di delitti legati al contatto o alla violazione le misure di contenimento e le limitazioni adottate per fronteggiare la pandemia, mentre sono aumentati esponenzialmente i reati informatici. Le sole frodi informatiche nel 2020 sono risultate infatti in costante espansione ed evoluzione con un aumento del 17,8% rispetto al 2019. Ciò non toglie nulla all’eccellente lavoro congiunto delle Forze dell’Ordine e al costante miglioramento delle misure di sicurezza adottate dalle banche: basti pensare che, dal 2007 al 2020, le rapine allo sportello sono diminuite del 96%, passando dalle 3.364 del 2007 alle 119 del 2020. Bisognerà, inoltre, attendere la pubblicazione definitiva dei dati che annualmente vengono resi noti nel ‘Rapporto Intersettoriale sulla Criminalità Predatoria’ anche per valutare l’andamento di altri reati come i furti in banca e gli attacchi agli ATM (bancomat e bancomat evoluti)”.

In conclusione: gli “strapagatissimi” bancari italiani vantano il raggiungimento di un loro specifico obiettivo gestionale: la diminuzione delle rapine, ma in realtà il problema si è ridimensionato sia a causa delle restrizioni imposte per la pandemia che hanno ridotto persino la stessa “operatività” dei malviventi, sia in seguito alla chiusura indiscriminata di centinaia di sportelli bancari in tutto il territorio nazionale portata avanti dai vari istituti di credito per “costringere” la clientela a operare on line. Ma quest’ultima geniale idea dei vari CEO di banca ha sortito una conseguenza altrettanto negativa come le rapine agli sportelli: l’aumento esponenziale dei reati informatici.

A questo punto perché ricoprire d’oro i banchieri prendendo per buone tutte le loro sbruffonerie autogratificanti?

 

Autore dell'articolo: admin

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